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Giovan Battista De Rossi : EPITAFFIO DELL'ANNO 406

Riproduzione dell'epitaffio preso esame

Riproduzione dell'epitaffio preso esame

 

 

 

APPENDICE ALLE ISCRIZIONI DI DATA CERTA PUBBLICATE NEL PRIMO TOMO DELLE INSCRIPTIONES CHRISTIANAE URBIS BOMAE. EPITAFFIO DELL'ANNO 406

Del cav. Giovanni Battista De Rossi

Estratto da BULLETTINO DI ARCHEOLOGIA CRISTIANA 

Roma Tipografia Salviucci - 1863 Anno Primo - Roma Gennaro 1863 - N. 1

 

 

 

La discussione, che ha chiuso l'articolo precedente, dimostra di quanto uso dee essere nella cristiana archeologia la serie delle iscrizioni di data certa. La quale serie, come ho detto nel mio proemio, verrò accrescendo con la pronta pubblicazione delle epigrafi ad essa spettanti, e che di giorno in giorno tornano in luce. Sia la prima quella d'un'arca marmorea testè discavata nell'agro Verano presso la basilica di S. Lorenzo. Ne dò il disegno nella pagina seguente; e l'iscrizione si legge così: Depositus Licentius vir clarissimus VIII idus Nobenbres (Novembres) Arcadio Augusto et Anicio Probo viro clarissimo consulibus.

Le fogliette tra le lettere sono interpunzioni, delle quali da una iscrizione africana testè sapemmo, che gli antichi le chiamarono hederae distinguentes [1]; il ramoscello è di palma. La data ci conduce all'anno sesto del secolo quinto, cioè al 406 di Cristo, nel quale furono consoli Arcadio per la sesta volta e Anicio Petronio Probo. L'ommissionc del numero del consolato di Arcadio è veramente colpevole negligenza di chi scrisse o di chi incise in pietra questo titolo; perocchè giusta le regole del datare quel numero non doveva essere ommesso, e fu sempre notato nelle romane iscrizioni, che di quest'anno già avevamo [2]. Ma questa negligenza non nuoce alla chiarezza della data; essendo noto, che Probo fu collega d'Arcadio soltanto nel sesto consolato di lui; ed in siffatti casi il numero del consolato fu spesso taciuto [3]. L'arca sepolcrale fu inumata all'aperto cielo fuori del cemetero sotterraneo; il qual fatto è conforme alla legge rivelata dalle tavole statistiche sopra citate, che dopo l'anno 400 i sepolcri sotterranei debbono essere stimati rarissimi e frequentissimi i non sotterranei. ll dettato dell'epigrafe bene risponde alla distinzione dei due stili, quello dell'età delle persecuzioni, e quello dell'età della pace. Bcnchè qui non sia ombra di oratoria pompa di parole, pur non v'è traccia di quella maniera di semplicità, o di quell'indole affettuosa, che fu propria delle primitive memorie. Il carattere di questo epitaffio è prettamente istorico; quindi il titolo di vir clarissimus, che ci insegna la dignità senatoria del defunto, e le note dell'anno con la voce consulibus tutta distesa, che così non appare mai prima degli anni 343, 348 [4].

La nomenclatura però del defunto non è quale si aspetterebbe in un epitaffio istorico: il personaggio chiarissimo è nominato col solo cognome Licentius senza menzione de' suoi gentilizi. Ed anche questo è conforme ad un altro capo di osservazioni atte a dare indizi dell'età de' monumenti epigrafici, quelle sul sistema e le variazioni della nomenclatura. Nei più antichi e tal volta brevissimi epitaffi i nomi gentilizi sono assai spesso premessi ai cognomi; col volgere del secolo quarto l'uso dei gentilizi nelle memorie sepolcrali diviene ogni dì più scarso, e nel quinto quasi al tutto scompare, eccetto il gentilizio Flavius comunemente segnato colle due sole lettere FL a guisa di prenome. lnfine la stessa formazione del cognome Licentitus s'accorda con le leggi de' cognomi, fra i quali i terminati in entius nel quarto secolo furono comunissimi e si derivavano dai participi de' verbi latini, come da licens, Licentius [5].  

Compiuta cosi l'analisi della nuova iscrizione e dimostrata la sua conformità colle regole da me proposte, voglio anche cercare chi sia cotesto Licenzio. Egli morì in Roma nel 406 ed era entrato nel senato; ma non par che avesse ottenuto alcuna cospicua magistratura; poichè verisimilmente ne sarebbe stata fatta menzione dopo il titolo senatorio di vir clarissimus. Or appunto dieci anni prima nel 396 era venuto dall'Africa a Roma agognando alle alte dignità Licenzio discepolo carissimo a S. Agostino [6]. Il quale ebbe grande dolore dalla partenza dell'amato alunno; e gli scrisse richiamandolo e pregandolo, che si desse tutto a Cristo e volgesse le spalle alle fallaci speranze del mondo; e lo raccomandò anche a S. Paolino di Nola perchè gliel rendesse [7]. Questi scrisse a Licenzio in prosa ed in verso; e lo dissuadeva dalla via degli onori e dal matrimonio, che ambiva [8].

ll carme di S. Paolino a Licenzio comincia: Quare age rumpe moras et vincla tenacia saecli e termina cosi: Vive precor, sed vive Deo; nam vivere mundo Mortis opus, viva est vivere vita Deo. Non sappiamo quale frutto abbiano avuto tante esortazioni e tante preghiere: ma l'iscrizione ora rinvenuta dandoci un Licenzio (cognome in Roma assai raro), uomo di grado senatorio morto nel 406, al discepolo di S. Agostino sì bene si addice, che parmi certo lui esser l'onorato con quest'epigrafe. La quale empie una lacuna nell'istoria del grande dottore. Imperocchè nella vita e nelle opere di S. Agostino molta parte ha il suo diletto discepolo Licenzio; ma dopo la venuta di lui a Roma se ne perde ogni notizia. Egli era figliuolo di Romaniano concittadino e celebre amico del santo; e quando questi si convertì a Dio in Milano nel 386, e rinunciata la cattedra di retorica si ritirò nella villa di Verecondo, Licenzio lo seguì. E fu uno dei due principali interlocutori nelle celebri dispute sugli Accademici fatte in quella villa; il cui vero nome Cassiaco ed il sito rimasto sì famoso da durarne tuttora la memoria, ha testè sagacemente dichiarato il ch. Sig. D. Luigi Biraghi Dottore Ambrosiano [9].

Licenzio adunque iniziato allora negli studii della filosofia sarà entrato pur allora nella giovinezza; e bene rispondono i tempi, se dieci anni più tardi nel 396 tentò ed ambì in Roma i pubblici onori. Par che fosse appena catecumeno e mal fermo nella professione cristiana; perocchè Agostino dice di lui che aveva fatto solo i primi passi verso Cristo, e S. Paolino nel carme citato ce lo descrive vaneggiante nella speranza di divenire un dì non pur console ma anco pontefice (cioè pontefice pagano) e lo sgrida e lo compiange. Dopo ciò nulla più sapevamo di lui: ed ecco la sua arca sepolcrale esce dal nostro suolo e ci insegna che dieci anni dopo, ch'era giunto in Roma, egli morì e fu deposto in uno de' più nobili cemeteri della chiesa romana presso la basilica del martire S. Lorenzo, la cui venerazione era a quei dì straordinariamente grande non in Roma soltanto, ma in tutto l'Occidente e nella stessa Africa. Donde avvenne, che l'agro Verano circostante a quella basilica fu ne' principii del secolo quinto uno de' più ambiti luoghi di sepoltura, ed è oggi uno de' più feraci campi, che ci dieno monumenti cristiani di quell'età [10].

Adunque le preghiere di que' santi non furono vuote d'affetto; e come di Verecondo S. Agostino ebbe la consolazione di saperlo morto nella fede cattolica, così l'ebbe di Licenzio. Il quale poco visse, e poco progredì nella via degli onori; nè del matrimonio di lui è parola nell'epitaffio: forse s'arrese alle voci di quei santi, o sperimentò colla brevità della vita e con le deluse speranze la verità de' loro consigli. Insieme all'arca di Licenzio ne fu disotterrata una seconda in tutto simile alla prima, nella quale è inciso un lungo elogio di Fl. Magno retore della città di Roma, che assai illustra l'istoria letteraria e la cristiana. La divulgherò nel numero seguente con un breve commento.

 

 

 

Note

 

(1) - Reiner, lnscr. De l'Algerie N. 189

(2) - V. Incr. Christi t. l. p. 235-39

(3) - V. l. c. Proleg p. LII

(4) - V. l. c. p. XXI

(5) - V. l. c. p. XCII, CXIII

(6) - V. S. Paolini Nolani opp. edit. Veron. p.758

(7) - S. August. epist. XXXII

(8) - S. Paolini Nolani epist. VIII

(9) - Biraghi, S. Agostino a Cassago Brianza sul milanese, Milano 1854 

(10) - V. Inscr. Crist. t. l. P. 572